La festa alla Madonna del Sasso

Qui di seguito troverete una poesia, in vernacolo, scritta da Raffaele Merlini (1851-1932) detto “Barile” delle Sieci. Secondo la tradizione, venne declamata per la prima volta nel 1891 durante la festa della seconda di maggio al Sasso, di cui appunto la poesia tratta.

In un vasto oratorio, il Sasso detto,
ricorre ogni anno, nel maggio, una festa
e a chi vuol divertirsi io lo prometto
vada colà che soddisfatto resta;
quella è una gita amena e di diletto
benché resti in un monte alla foresta
ma vi concorre tante mai persone
chi per spasso e chi per orazione.

Bench’io fossi di tutto a cognizione,
pur volli anche quest’anno ritornare,
per potere osservar con più attenzione
e farne a chi lo ignora un esemplare,
e per darvi più esatta spiegazione
cercai prima di tutti di arrivare
per veder della festa l’andamento
d’arrivo e di partenza il movimento.

Appena giunto al Sasso il vedo e sento
che di gran previsioni si facea,
baracche ne contai da più di cento,
roba di varie specie ognun cocea,
v’eran tutti quei cuochi in movimento:
chi girava l’arrosto e chi friggea,
chi spezzava l’agnello e chi ammazzava
polli e piccioni e poi chi li pelava.

E sempre di bel nuovo ne arrivava
giungean di mille specie i venditori,
chi per far i caffé si preparava,
chi biscotti vendea, dolci e liquori,
poi circa cencinquanta si contava
fra chincaglieri e venditor di fiori,
addobbata la piazza, era in maniera,
che sembrava, a l’aspetto, un’ampia fiera.

E poi fannulloni un branco v’era
chi le chitarre avea, chi gli organetti,
chi cantava le storie di preghiera,
di maggiaiole poi vari gruppetti
per cantar maggio da mattina a sera,
poi v’eran tesi tant’altri traghetti
col tiro a segno, biribisso e mea
che i denari ai… c… ordoni distruggea.

Quando poi fu le sette, si vedea
gente apparir da l’uno e l’altro lato
dalla montagna, il rustico scendea,
dalla città saliva il delirato d’ogni età d’ogni sesso ne giungea,
era piena la via, pieno era il prato,
la chiesa zeppa con qualcun dei buoni
e il rimanente finti bacchettoni.

Quando poi fu le nove, processioni
da ogni colletto si vedean spuntare,
con stupendi Cristi e lanternoni
per andare il gran tempio a visitare,
quindici compagnie dei ricchi doni,
sogliono ogn’anno alla Madonna fare
perché nei tempi antichi si leggea
che i miracoli a sacca la facea.

Giunge prima da Sveglia Sant’Andrea
i Macioli, Polcanto ed Ontignano,
poi la Pie Vecchia e Galiga giungea, Torri, Doccia il Fornello e sant’Ansano,
Monte Fiesole e Opaco vi accorrea,
Santa Brigida e poi Molin del Piano:
e quest’ultimi due che vi ho contato
aveano anche la musica portato.

Remole, benché l’ultimo arrivato,
più assai degli altri se ne fece onore,
perché il dono più ricco avea portato
e un Cristo avea, degli altri assai migliore:
e un angiolin ci avea dal ciel calato
proprio parea per ordin del Signore,
con la musica poi che accompagnava
la detta processione, in chiesa entrava.

Remole entrando tutti dominava,
perché nel sacro tempio vi è uno scritto,
che da parecchi secoli si dava
di scoprir la Madonna a lui il diritto:
e mentre che la musica suonava,
una preghiera come gli è prescritto,
alla folla del popolo scopria
l’immagin della Vergine Maria.

Ed a tal punto sorger si sentia
preci rivolte a Lei, laudi cantare,
ed ogni prete, d’ogni compagnia,
la van con sacre lodi a ringraziare
quindi si sente con dolce armonia
incominciare un organo a suonare,
con un’introduzion che il segno dava
che la messa cantata incominciava.

Di Remole il Pievano la cantava
e altri quindici preti attorno avea,
chi per servirlo in ciò che bisognava,
e poi chi al canto suo gli rispondea;
terminata la messa si adunava
tutti quei sagrestani in assemblea,
perché vi è l’uso, dopo tal funzione,
di portar tutti i Cristi a processione.

Drea, come tutti sanno, è il più ciaccione
ed à di comandar la simpatia:
a tutti gli altri dà l’ordinazione
che ognun prenda il suo segno e attento stia,
dicendo: n’un facciamo confusione
stache alla legge della teoria,
prima i crocifissieri, avverte, e poi
va dai mazzieri e dice: or dico a voi.

Non facciam come a voite ci sien troi
cor’una precission tutta arrufaca,
perché la più vergogna e 1 e pè noi,
e scomparisce chi ce l’ha affidaca,
n’un fache conto di mandare i boi
e stache attenti sulla rigiraca,
che un s’abbia omini e donne a mescolare
che se riò tutt’un monte e v’è da fare.

E quando il doppio incominciò a suonare
son tutti pronti, e Drea sfila il corteggio,
dicendo un grand’onor ce ne sì fare
se vu dareche a me tutt’ì maneggio,
e la regola megghio, e la mi pare,
di fare escire innanzi i Cristi peggio, perché alla coda delle precissione
sta i megghio Cristo e le megghio persone.

Approvan tutti ciò che Drea propone
e sorton fuori pieni d’energia,
guidando con la massima attenzione
la di loro affidata compagnia:
il pubblico trovò soddisfazione
nel veder piena tutta quella via
di stendardi, di Cristi e lanternoni,
di preti e donne con variati doni.

Ma il bello, era veder quei ciceroni
con quella mazza in mano a sorvegliare
che anche dei Cristi pareano i padroni
volendo gli uni agli altri comandare,
e Drea che ambisce fare osservazioni,
tutte le compagnie vuol riguardare,
e trova alfine i Santabrigidesi
che non aveano i lanternoni accesi.

Disse ai mazzieri: e v’anderessi presi
pe’ un braccio e messi for di precissione,
e vi sospenderei per almen se’ mesi
o se no, favvi la contravvenzione:
risposan, questi, nel sentirsi offesi:
se t’un ‘ismetti di fare ‘í ppottone
e si duro ti si dà sulla tù testa
finché un briciol di mazza in man ci resta.

E allor, rispose Drea l’ordin l’è questo,
e delle ‘ostre boce i’ un’ho paura,
perché sò iddirettore della festa,
e nu vò fá pe voi trista figura,
e vu v’eri anche messi nella testa
di fà voattri la scoperchiatura,
ma ficcatevi, o chiurli, nell’idea
che a Remole i diritto un gli si lea.

Tacquero i Brigidesi, e allora Drea
seguitò il giro che avea principato,
ma nessun’altra osservazion facea
perché tutto trovò bene ordinato:
era lui che il comando dirigea;
ma udì che mezzo giorno era suonato,
e allora ordina in chiesa di tornare,
perché più gli premeva il desinare.

Sciolte le processioni a riposare,
su quei colletti ameni ognuno andava,
per cominciare a bevere e mangiare
e darne al corpo più che ce ne entrava,
ed’io curioso un giro volli fare,
per vedere di che cosa si trattava,
e vidi Fiorentini e insiem Coloni
che avean da casa di gran provvisioni.

Chi lo stracotto avea coi cannelloni
chi tegami d’agnello e coratelle,
altri l’arrosto di polli e piccioni,
con fritto di cervelli e d’animelle,
quei montagnoli poi meno scialoni,
chi le polpette aveva, chi le frittelle
di Ceraiotti poi vi era un gruppetto
che avean la sgozzatura in un sacchetto.

Ma facea nell’insieme un bell’effetto
veder tante persone insiem riunite,
la vecchia, il vecchio, il bimbo e il giovanetto
le donne, i dami, mogli ed i mariti,
mangiare e bere insiem, senza sospetto
di quei vini sinceri e saporiti:
ma poi quando tornaron sulla festa
il novanta per cento erano in … cesta!

E con tutto quel vino per la testa
ritornan sul piazzale a far baccano,
che anche la donna timida si desta
e getta la vergogna al tramontano,
ogni giovane libero si appresta,
il nobile, l’artista ed il villano
a cercar d’un’amante provvisoria
per andar tra i castagni a far baldoria.

Ma prima di dar termine alla storia
io voglio anche ‘le musiche accennare,
che a contrastar si stanno la vittoria
volendo gli uni, gli altri superare;
ed alla fine di chi sia la gloria
nessuno non si sa raccapezzare,
tra il picchiar delle man, gli urli e i rumori
sol chi suona più forte ha gli onori.

E al finir della giostra, i vincitori
dicon d’esser restati e questi e quelli,
ma con le stecche di quei suonatori
vi sarebbe da far mille corbelli:
perché tra il caldo tra il vino e i liquori
le note sembran loro travicelli
chi fa un re per un do, chi un si per solle:
non si sa se l’è zuppa o gli è pari molle.

E alfin di abbandonar l’ameno colle
decidon musicanti e spettatori;
ma pria di far partenza ognun si volle
giubba e cappello contornar di fiori,
tanto quei di Polcanto che Pagnolle,
rozzi, civili, poveri e signori,
giovani, vecchi e anche l’età minore
non parte alcun senza la scopa e il fiore.

Poi tutti quelli che fanno all’amore,
alla lor prediletta fidanzata
comprano dolci di un grato sapore,
e le fanno una bella pezzolata:
ed io tutto osservai con gran stupore,
che sol si dedicò quella giornata
a mangiar molto, a bere e far del chiasso
e così terminò la festa al Sasso.

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